Dominio Lambo.com: da 75 milioni a zero

dominio lambo.com - immagine di copertina

Tenta di vendere un dominio per 75 milioni di dollari: record mancato e dominio perso

Nel mercato dei nomi di dominio si sono viste cifre astronomiche, con vendite che raggiungono decine di milioni di dollari. Tuttavia, puntare troppo in alto può riservare brutte sorprese. È il caso di un imprenditore americano che ha provato a vendere il dominio “Lambo.com” per l’incredibile cifra di 75 milioni di dollari, nel tentativo di battere ogni record. La vicenda, anziché concludersi con un affare da Guinness dei primati, è finita con un nulla di fatto: dominio sottratto e nessun guadagno, anzi solo spese legali. Vediamo perché questo caso è così interessante per chi investe in domini premium.

Il caso Lambo.com: 75 milioni sfumati e una battaglia legale

Un acquisto da 10.000 dollari e un grande progetto

Nel 2018 Richard Blair, un imprenditore dell’Arizona, acquistò il dominio Lambo.com per 10.000 dollari. Intravedendo un potenziale colpo grosso, puntò subito sul valore del nome. “Lambo” è infatti un celebre soprannome della Lamborghini, marchio automobilistico di lusso conosciuto ovunque. Per questo il dominio appariva, almeno sulla carta, molto appetibile.

Prezzo alle stelle e nessun acquirente

Blair iniziò ben presto a mettere in vendita il dominio, aumentando progressivamente il prezzo. Prima circa 1,13 milioni di dollari, poi 1,5 milioni. All’inizio del 2021 lo portò a 3,3 milioni, per salire a 12 milioni più avanti nello stesso anno. Nel 2022 alzò ancora di più l’asticella, fino a circa 58 milioni. Alla fine, nel 2023, arrivò a chiedere 75 milioni di dollari. Diverse persone si mostrarono interessate durante questo periodo, ma Blair rifiutò tutte le offerte. Era convinto che il suo dominio valesse davvero quella cifra stratosferica.

“Lambo” come soprannome e l’ira di Lamborghini

Per dare più forza alla propria posizione, dopo l’acquisto del dominio Blair iniziò a presentarsi online con il soprannome “Lambo”. Sostenne che questo nomignolo derivava dalla parola inglese “lamb” (agnello) e non avesse nulla a che fare con la casa automobilistica. Molti osservarono però che il collegamento con Lamborghini era evidente. Sul sito Lambo.com aveva reindirizzato una pagina personale in cui proclamava: “I AM LAMBO of LAMBO.com and I will defend, defeat and humiliate those endeavoring to steal any of my domain name brands including my moniker”. Un tono aggressivo che non passò inosservato all’azienda italiana.

La procedura UDRP e la decisione del tribunale

La casa automobilistica, tutt’altro che divertita, ha reagito per vie legali. Nel 2022 si è rivolta al centro arbitrale della World Intellectual Property Organization (WIPO), avviando una procedura secondo le regole UDRP (Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy). L’obiettivo era ottenere il trasferimento del dominio contestato. Il panel arbitrale diede ragione alla Lamborghini. Secondo la decisione, Blair aveva agito in bad faith (malafede), registrando il nome per sfruttare la notorietà altrui. Di conseguenza venne disposto il trasferimento di Lambo.com al costruttore di auto.

A questo punto Blair tentò il tutto per tutto, portando la disputa in un tribunale federale statunitense. Anche qui, però, la sentenza fu netta: il giudice confermò la decisione arbitrale e respinse il ricorso. Nelle motivazioni, la corte evidenziò che Blair non vantava alcun diritto legittimo sul nome “Lambo”, che aveva iniziato a utilizzare solo dopo aver comprato il dominio. Inoltre non aveva mai sviluppato un vero sito web su Lambo.com, limitandosi a sfruttare il legame con il marchio Lamborghini. Il quadro era quello tipico del cybersquatting.

Un classico caso di cybersquatting

La conseguenza è stata pesante. Blair non solo ha perso il dominio Lambo.com, passato gratuitamente nelle mani di Lamborghini, ma si è ritrovato anche con un conto salato in spese legali. Ai costi del procedimento si sono sommati i 10.000 dollari spesi inizialmente per l’acquisto. Il sogno di un affare milionario si è trasformato in una perdita secca. Questo caso mostra in modo molto chiaro quanto sia rischioso puntare su nomi legati a marchi famosi.

Domini da milioni di dollari: realtà e illusioni

Le vendite record più celebri

Dopo aver visto il caso Lambo.com, viene spontaneo chiedersi da dove arrivasse l’idea di chiedere proprio 75 milioni di dollari. Nella storia di Internet non mancano nomi di dominio venduti per cifre da capogiro. Il record per un dominio pubblicamente dichiarato è quello di Voice.com, venduto nel 2019 per 30 milioni di dollari. Altri casi celebri sono 360.com (17 milioni di dollari nel 2015) e Chat.com, venduto nel 2023 per circa 15,5 milioni.

Ci sono anche altri nomi che hanno superato la soglia dei dieci milioni. Tra questi si citano spesso NFTs.com, Rocket.com, Sex.com e Icon.com. Non sorprende quindi che alcuni investitori pensino di poter replicare questo tipo di colpo. Tuttavia, ogni storia ha un contesto molto specifico e non basta un nome evocativo per pretendere cifre fuori scala.

I casi storici che hanno fatto scuola

Accanto alle vendite recenti esistono anche casi “storici” che hanno alimentato la leggenda dei domini d’oro. Uno degli esempi più noti è Pizza.com. Il dominio fu registrato nel 1994 da Chris Clark, che all’epoca spese solo 20 dollari. Nel 2008 riuscì però a venderlo per 2,6 milioni di dollari, dopo oltre dieci anni di attesa. Un risultato straordinario, ottenuto grazie a un nome semplice e universalmente riconoscibile.

Anche Sex.com è entrato nella storia. Registrato nei primi anni ’90, è stato al centro di contese legali durate anni. Alla fine, nel 2010, fu venduto per circa 13 milioni di dollari. Questi casi sono spesso citati come esempi perfetti di come un dominio possa diventare un asset di enorme valore nel tempo. È comprensibile che molti investitori vengano attratti da storie simili.

Numeri da interpretare con prudenza

Di fronte a cifre così alte, è fondamentale mantenere il senso della realtà. Per ogni Voice.com venduto a peso d’oro esistono migliaia di domini che restano invenduti o vengono ceduti per somme molto più basse. Inoltre, in alcune operazioni le cifre comunicate non si riferiscono solo al nome a dominio. Nel caso di Business.com, ad esempio, l’acquisizione da 345 milioni di dollari del 2007 includeva un’intera azienda, con i suoi dipendenti e il fatturato. Lo stesso vale per Cars.com, valutato 872 milioni perché parte di una più ampia operazione societaria.

Quando si parla di vendite record bisogna quindi capire cosa è davvero compreso nel prezzo. A volte è il solo dominio, altre volte è un pacchetto molto più complesso. Per chi investe, l’insegnamento è chiaro: prendere i numeri sensazionalistici con prudenza e concentrarsi sulle basi reali di valutazione di un nome.

Tra investimento e cybersquatting: le insidie dietro i nomi celebri

Il caso di Lambo.com mette in luce un principio fondamentale. Registrare un dominio legato a un marchio famoso è estremamente rischioso. Il confine tra un investimento legittimo e il cybersquatting è netto. Se acquisti un dominio con l’unico scopo di rivenderlo al titolare del marchio, puntando a cifre irragionevoli, stai operando in malafede.

Quando un investimento diventa un problema legale

Le normative internazionali offrono ai brand strumenti efficaci per difendersi. L’UDRP, utilizzata presso enti come il WIPO, è una procedura pensata per risolvere in modo rapido le controversie sui nomi di dominio. Se il panel stabilisce che il dominio è stato registrato e usato in malafede, e che il registrante non ha diritti o interessi legittimi, dispone il trasferimento del dominio al richiedente. È esattamente ciò che è accaduto con Lambo.com.

Un mercato legittimo, se sai come muoverti

Questo non significa che investire in domini sia sempre sbagliato. Esiste un mercato di compravendita del tutto legittimo, in cui molti imprenditori operano senza problemi. La chiave è evitare nomi protetti da marchi registrati e concentrarsi su termini generici o creativi. Domini brevi, facili da ricordare e collegati a settori in crescita possono avere un buon potenziale di rivendita.

Per valutare un dominio occorre considerare diversi fattori. Conta l’estensione (con il .com ancora in forte vantaggio), conta la lunghezza, conta l’assonanza con un’idea di brand. È importante anche verificare che non esistano marchi registrati identici o molto simili. Un dominio “pulito” dal punto di vista legale può attirare aziende disposte a pagare bene, soprattutto se rappresenta un nome perfetto per un prodotto o un servizio.

La lezione di Lambo.com

La storia di Lambo.com e del suo mancato affare milionario offre più di una lezione. Da un lato conferma che i domini internet ultra-premium possono raggiungere valutazioni eccezionali. Non è un caso se aziende e investitori sono pronti a spendere milioni per un nome corto, memorabile e perfettamente in linea con il proprio brand.

Dall’altro lato mostra i rischi di improvvisarsi “domainer” senza una strategia solida. Puntare su nomi troppo vicini a marchi noti può portare a problemi seri. Non solo si rischia di perdere il dominio, ma si possono accumulare spese legali difficili da sostenere. Per chi vuole investire in domini, il messaggio è chiaro: scegliere con cura, studiare il contesto legale e mantenere aspettative realistiche.

Comprare e vendere domini può essere un’attività interessante e, in alcuni casi, molto remunerativa. Ogni dominio assomiglia un po’ a un biglietto della lotteria, ma non tutti hanno la stessa probabilità di vincita. La vicenda di Lambo.com lo dimostra bene. Chiedere la luna per un dominio legato a un brand altrui non porta al record dei guadagni, ma rischia di far perdere anche il poco che si aveva.

Fonti: TechRadar, Road & Track, SOS-WP, Wired Italia

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